Immagina di essere nell’aperta savana, sei con un gruppo di locali a caccia di cibo. Dopo alcune ore di cammino, tra l’erba alta riesci a scorgere delle sagome indistinte, fai cenno ai tuoi compagni di prestare attenzione. Vi avvicinate, osservate meglio, e dalle criniere vi accorgete di essere a pochi metri da un gruppo di leoni che sapete benissimo essere sempre allerta per individuare eventuali intrusi nel loro territorio. A questo punto, ancor prima di rendervi consciamente conto della situazione, la parte del cervello che controlla le vostre emozioni, nota come “mammalian brain” e che ha tra i suoi obiettivi quello di farvi sopravvivere, attiva la risposta automatica così detta “fight or flight”, combatti o scappa. A seguito dello stimolo esterno si entra in questo stato caratterizzato da una serie di cambiamenti fisiologici e biochimici nel corpo. Ormoni come adrenalina, noradrenalina e cortisolo, il così detto ormone dello stress, vengono rilasciati nel sangue. La pressione sanguigna aumenta, il sangue fluisce verso i muscoli al fine di permettere una maggiore reattività, il cuore accelera assieme al ritmo respiratorio per fornire il massimo dell’ossigeno, le pupille si dilatano per catturare più luce ed il campo visivo si riduce per permettere una visione più chiara della fonte del pericolo. Tutto seguito da tremori, blocco della salivazione e della digestione. Questo è lo stato che il nostro corpo, lungo anni di evoluzione, ha trovato ideale per la nostra sopravvivenza.
Tuttavia, a monte della catena di eventi, non appena viene identificato il pericolo, c’è un tassello importante che per anni non è stato riconosciuto nella letteratura scientifica. Infatti, recenti pubblicazioni, ad esempio questo articolo, puntano ad un terzo elemento nel processo di risposta ai pericoli esterni: “freeze”, che può essere tradotto come congelato, bloccato. Pensate a quando, ad esempio, a seguito di un rumore molto forte come un tuono, il vostro cane per un attimo alza le orecchie e rimane immobilizzato per qualche secondo, prima di, eventualmente, lamentarsi impaurito. Ecco, vi siete fatti un’idea dello stato di freeze. Lo stesso principio si applica a tutta la classe dei mammiferi, tra cui noi esseri umani. Nello stato di freeze, il nostro cervello ha il tempo di valutare lo stato di pericolo, e scegliere qual è l’opzione migliore tra le due a valle, combattere o scappare.
Ora starete pensando che nella società odierna il rischio di incontrare un animale pericoloso sia praticamente nullo e che quindi non abbiamo nulla di cui preoccuparci, putroppo non è così. Ogni giorno, tutti noi entriamo nello stato “freeze, fight or flight” senza rendercene conto. Questo perchè i pericoli esterni che incontriamo quotidianamente non sono abbastanza grandi da generare reazioni così potenti, come lo è essere rincorsi da un leone. Ciò non di meno, fattori di pericolo esterni esistono ancora, semplicemente gli abbiamo attribuito un nome diverso, quali fattori di stress o cause di stress. Il vostro capo vi ha rimproverato? Avete paura di aver fatto un pessimo esame? Avete litigato con qualcuno? Oggi definiamo questi come cause di stress. Di fatto, lo stress che non è altro l’accumularsi dei sintomi dello stato di fight or flight con il quale dovreste ormai aver preso familiarità. Infatti, tra i sintomi più comuni del così detto stress troviamo: pressione alta, tachicardia, cattiva digestione, vi ricordano niente? La verità è che non ci siamo di molto evoluti dai tempi in cui cacciavamo nelle savane ed il nostro cervello non sa ancora distiguere tra i fattori esterni che possono causare la morte e giustificano certi cambiamenti metabolici ed altri minori che non comportano rischi reali per la vita. Di fatto, quindi, poichè viviamo le nostre vite circondati da decine di fattori quotidiani che contribuiscono a portarci in uno stato reattivo in diversi momenti durante la giornata, viviamo in un perenne stato di figth or flight, e, come starete pensando, non è una buona cosa.
Allora, vi chiederete, se il mio cervello è programmato per avere questa reazione, non c’è nulla che posso fare per evitarla? Fortunatamente, esiste un semplice stratagemma che può aiutarvi a prevenire invece che curare. Per comprendere come funziona questo stratagemma tornerà utile sapere che un effetto collaterale dello stato di freeze è che per qualche istante, prima che i nostri polmoni inizino ad espandersi e contrarsi ad un ritmo sostenuto, a tutti gli effetti smettiamo di respirare, o meglio, automaticamente tratteniamo il respiro. Torniamo per un momento nella savana per illustrare il concetto. Un osservatore esterno potrà notare che, appena riconosciuto il pericolo, noi e i nostri compagni rimaniamo lì immobili, con “il fiato sospeso” (e da qui l’espressione comune), prima di decidere cosa fare. Ora, se vi fermate a pensare, potrete facilmente collegare il tutto e comprendere come ogni giorno durante le vostre vite ci ritroviamo senza fiato. Quando vi sedete per un colloquio lavorativo, quando inziate un test, quando da soli passate in una zona malfamata della città ed incrociate un gruppo di ragazzi che vi intimidisce, persino quando incontrate con una persona dalla quale siete attratti. Qual è quindi la soluzione per evitare di subire gli effetti negativi di questi fattori di stress? Ovviamente evitare di cadere nello stato metabolico proprio dello stress, annichilire in partenza la reazione fisico-chimica che inizia a scatenarsi. Come? Semplicemente respirando normalmente. Come abbiamo detto, se il primo passo verso un forte stato di stress è trattenere il fiato, possiamo pensare che respirando normalmente sia possibile evitare tutti gli stadi successivi. Oggi sappiamo che il nostro cervello influenza il nostro corpo ma che è vero anche il contrario. Questo studio del 1988 ha dimostrato come semplicemente tenere una penna in bocca sia abbastanza per migliorare l’umore di un individuo (provare per credere) tramite un meccanismo chiamato facial feedback. Secondo questo studio infatti muscoli facciali ed emozioni che li causano sono collegati in entrambi i sensi, ovvero, non solo un’emozione è in grado di causare la contrazione involontaria di certi gruppi muscolari (come vedere qualcosa di divertente causa un sorriso) ma anche come i muscoli stessi possano inflenzare le emozioni che proviamo, in questo caso un sorriso forzato dal tenere una penna in bocca è stato in grado di migliorare l’umore dei soggetti dell’esperimento. Se estendiamo lo stesso principio ad altre reazioni emotive, in questo caso freeze, fight or flight possiamo ottenere risultati simili. Nello specifico, prendere un respiro calmo e controllato quando ci troviamo davanti ad una fonte di stress può inibire la cascata di eventi che ci porterà a subire un discomfort emotivo. Non appena sentite che qualcosa non va, che siate di fronte ad un avvenimento, una situazione o un persona che causano grande stress, fate la cosa più naurale del mondo e respirate normalmente, prestando attenzione alla tensione che si dissipa. Con la giusta attenzione ad allenamento sarete in grado di diminuire considerevolmente i vostri livelli di stress giornlieri.
Per concludere:
Mentre sconsiglio di affrontare un leone con una penna in bocca, suggerisco vivamente di provare questa tecnica la prossima volta che una situazione di stress si presenta. Ovunque tu sia, appena ti accorgi che stai trattenendo il respiro, prendine coscienza e inala profondamente e con calma, continua poi a respirare normalmente. Ti accorgerai che gran parte della reazione sarà ridimensionata.
In altre parole, respira!
Segui Avocado tree anche su Facebook: https://www.facebook.com/Avocadotreesite/