Emergency! perchè ho deciso di imparare a salvare una vita

Marzo 30, 2017

Se vi trovaste in una situazione di emergenza, come un incidente stradale, o un malore per la strada, che vi vede coinvolti indirettamente, come spettatori, come reagireste? Soccorrereste il malcapitato, o tirereste dritto? Forse vi limitereste a chiamare i soccorsi? Indipendentemente dalla vostra risposta, o da quello che pensate di fare, la realtà sarà ben diversa. Nessuno di noi è in grado di prevedere la propria reazione in caso di emergenza. Soprattutto questa reazione risentirà delle circostanze: se siete da soli oppure siete tra la folla, se il fatto accade a un conoscente oppure a uno sconosciuto. Insomma, ci sono troppe variabili per poter stabilire con assoluta certezza quale sarà la vostra reazione a priori. Possiamo però chiarire degli aspetti chiave che influenzano questa reazione. In generale, almeno per come la vedo io, è possibile definire le probabilità di intervento sulla base di due fattori principali, ovvero Attitudine e Condizionamento.

Primo fattore: Attitudine

Come abbiamo detto, nessuno può sapere come reagirà in una determinata situazione di emergenza. Alcuni di noi posseggono una speciale attitudine che gli consente di intervenire senza indugio. Queste persone smettono di pensare ed agiscono. Altre, rimangono pietrificate, o si dileguano. Di certo non possiamo giudicare le seconde, specie perché prima di tutto è semplicemente la loro natura e poi perché non sappiamo se facciamo parte di questo gruppo o del primo. Se siete così fortunati da appartenere al primo gruppo, e lo avete sperimentato, sapete che nei momenti importanti potrete fare affidamento su di uno spirito innato in grado di guidarvi nel soccorso. Appartengono a questa élite persone comuni come  Michael Wright, impiegato di trent’anni che la mattina dell’ 11 Settembre 2001 si trovava all’interno del World Trade Center.

Stavamo scendendo lungo le scale, arrivammo al ventesimo piano -racconta Wright all’esquire- ed un vigile del fuoco ci dice, “Qualcuno conosce la RCP? Io non sono più certificato, ma la conosco dal college. Era dieci anni fa. Non mi vorreste in un team di soccorso, ma se è necessario salvare qualcuno, io so come fare. Quindi, io e questo altro tizio ci prestiamo come volontari. Aiutiamo questo uomo anziano e pesante che è venuto giù ansimando, e abbiamo tenuto gli occhi aperti per qualcun’altro. “Avete bisogno di aiuto? Avete bisogno di aiuto?” Nessuno aveva bisogno di aiuto. La scala adesso era libera. Era ora di andare. […] Vidi Alicia, una collega intrappolata nel bagno. Aveva visto tutto l’orrore che avevo visto io ed era traumatizzata. Piangeva e si muoveva lentamente. Ho messo il mio braccio intorno a lei. Poi c’era un’altra donna – stessa cosa. Ho messo le mie braccia intorno a le due, dicendo, “Forza. Dobbiamo andare. Dobbiamo andare.” […]

Questa è la storia incredibile di uno dei sopravvissuti alla catastrofe delle Torri Gemelle. Michael Wright, ordinario impiegato di trenta anni ha compiuto un gesto eroico, al momento del bisogno ha fatto di tutto per salvare la vita di altri esseri umani. Ancora più straordinario, lo ha fatto mettendo a repentaglio la propria. Senz’altro egli possiede questa attitudine speciale che ti mette nelle condizioni di agire quando è necessario per la sopravvivenza di un’altra persona. Potete leggere il racconto per intero qui.

Se non fate parte di questa cerchia di persone, non significa che non potete fare nulla. Al contrario, potete lavorare sul secondo fattore che determina la probabilità di intervento, il Condizionamento. Questo fattore è ancora più importante del primo, perché non solo ci spinge ad agire, ma ci fornisce anche gli strumenti necessari per farlo nel modo giusto.

Secondo fattore: Condizionamento

Secondo il libro On Killing: The Psychological Cost of Learning to Kill in War and Society di Dave Grossman, la probabilità per un soldato di sparare con la propria arma in ogni guerra combattuta con armi da fuoco prima del Vietnam era tra il 10 e il 15%. Ovvero, circa l’ 85% dei soldati in battaglia non utilizzava la propria arma contro il nemico, preferendo impegnare il proprio tempo in attività “di supporto” come il trasporto delle munizioni o l’aiuto dei feriti. Secondo Grossman, ex colonnello dell’esercito Americano, questo basso tasso di fuoco è spiegato dalla naturale repulsione degli essere umani ad uccidere i propri simili.

Mentre questa affermazione potrebbe incontrare alcune critiche, più interessante è scoprire che la percentuale di soldati che effettivamente ha aperto il fuoco per uccidere durante la guerra del Vietnam è salita fino al 90%. Come è stato possibile questa evoluzione? Per il colonnello, le motivazioni sono da ricondurre, in larga parte, al condizionamento che i soldati moderni subiscono durante la preparazione alla guerra. Oggi, il condizionamento si è spinto così avanti che il firing rate si aggira intorno al 98%.

Anche se in questo articolo stiamo trattando esattamente la situazione opposta, ovvero come salvare una vita, non toglierla, possiamo tracciare una linea di congiunzione tre le due fattispecie. Se immaginiamo che solo il 10 o 15% di noi possegga effettivamente il primo fattore, l’attitudine, con una analogia possiamo comprendere come la percentuale di intervento in caso di emergenza possa salire per le persone comuni allo stesso modo che per i soldati in guerra, tramite condizionamento. Per condizionamento, o meglio condizionamento operante, come definito da Skinner, intendiamo la messa in atto di un comportamento che se rinforzato positivamente si ripresenta con una maggiore frequenza. In altre parole: addestramento.

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Questa è il mio attestato di partecipazione al corso di primo soccorso per la popolazione tenuto dalla Croce Rossa Italiana, conseguito esattamente il giorno del mio compleanno. Della durata di un mese, questo corso prevede l’insegnamento di tutte le tecniche base a disposizione di una persona comune per tenere in vita un individuo in attesa del soccorso qualificato. Questo è quello che intendo per condizionamento. Imparare queste tecniche non solo è fondamentale per agire correttamente, ma anche per agire, spontaneamente e senza pensare. In caso di necessità, piuttosto che rimanere paralizzati, sapere cosa fare può consentire di mettere il cervello in autopilota ed intervenire, anche se non si pensa di esserne in grado. Ovviamente, questo è un addestramento blando, scevro da rinforzi positivi (interventi ripetuti) in grado di formare il condizionamento operante, ma è comunque un buon punto di partenza. È aperto a tutti, e consiglio di iscrivervi se volete imparare qualcosa di importante.

Perchè ho deciso di imparare a salvare una vita

Al corso è possibile incontrare tutti i tipi di persone, che si iscrivono per le motivazioni più disparate. C’era chi aveva bisogno del certificato per ottenere la licenza da personal trainer, altri pensavano che sarebbe stata una buon aggiunta al proprio CV, alcuni erano solo curiosi, c’erano poi una babysitter e una maestra elementare che volevano intervenire in caso succedesse qualcosa ai propri bambini. Quanto a me, ho deciso di intraprendere questo percorso perché, forse, se lo avessi fatto prima sarei stato in grado di salvare una vita, e solo ora riconosco gli errori fatti in quei momenti concitati. Qualunque sia la motivazione, è un investimento di tempo che suggerisco a tutti perché la considero una delle esperienze più formative della mia vita. Adesso mi sento in grado di poter fare la differenza, e come ripetuto più volte dalla mia istruttrice: “Non c’è esperienza più gratificante che salvare la vita di un altro essere umano.”

Passare all’azione

Non voglio in nessun modo sostituirmi ad un formatore professionista, non sono qualificato ed in nessun modo i miei consigli si devono ritenere sostitutivi alla formazione specializzata. Ciò non di meno, questa è la manovra più importante che viene insegnata durante il corso, il tutto ha finalità puramente esemplificativa.

In caso di persona a terra, che NON ha subito traumi:

  1. Valutare lo stato di coscienza -> Scuoterlo delicatamente per le spalle e chiedere “Signore, mi sente?”
  2. Se cosciente -> effettuare un controllo secondario (per eventuali ferite) chiamare il 112 (il 118 andrà presto in pensione e verrà sostituito dal 112 come numero unico delle emergenze)
  3. Se incosciente:
    1. Chiamare o far chiamare il 112 (identificare una sola persona e chiedere con tono assertivo di contattare il 112 per evitare il bystander effect)
    2. Porre la persona su un piano rigido e allentare eventuali indumenti che possono costringere
    3. Inclinare la testa della vittima all’indietro con una mano sulla fronte e due dita sotto il mento per liberare le vie aeree
    4. Valutare l’attività respiratoria-> manovra G.A.S. (Guardo il torce per vedere se si solleva, Ascolto il rumore dell’aria respirata, Sento l’alito della vittima sulla mia guancia) mettendo la guancia all’altezza del naso della persona e guardando in direzione del torace per 10 secondi.
    5. Se respira-> P.L.S. (Posizione Laterale di Sicurezza), ovvero posizionare la vittima sul fianco assicurando la posizione ipertesa del capo.
    6. Se non respira-> R.C.P. (Respirazione Cardio Polmonare), su una superficie rigida (no letti, no divani, no cuscini!) inginocchiarsi di fianco alla vittima, appoggiare la base del palmo della mano al centro del torace (nella metà inferiore dello sterno), appoggiare l’altra mano sopra la prima intrecciando le dita. Con le braccia tese effettuare 30 compressioni (con ritmo di 100 al minuto, poco meno di 2 al secondo) contando ad alta voce (è importante per i soccorritori all’arrivo). Eseguire 2 ventilazioni, iperestendendo il capo, chiudendo le narici con due dita e soffiando nella bocca della vittima assicurandosi che il torace si sollevi. Continuare alternando 30 compressioni a 2 ventilazioni ed interrompersi solo se la vittima riprende a respirare o all’arrivo dei soccorsi.

Nota: questa tecnica si applica solo in condizioni normali negli adulti, se non si è verificato un trauma. Per maggiori dettagli e prove pratiche rinnovo l’invito a seguire l’apposito corso.

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