Avete mai avvertito una sensazione di malessere vicino ad una torre telefonica? Un mal di testa subito dopo una telefonata cellulare, oppure strane sensazioni in un ambiente ricco di segnali Wi-Fi? Se la risposta è sì, seguitemi in questa terza parte sul tema dell’elettromagnetismo, in cui si parla di una condizione ancora misteriosa ma che potrebbe essere più diffusa di quanto si pensi: l’elettrosensibilità.

Le torri per telecomunicazioni sono enormi fonti di energia elettromagnetica non nativa
Definizione ed effetti
Quando il corpo inizia a reagire ai campi elettromagnetici parliamo di elettrosensibilità. Generalmente, il campo elettromagnetico a cui si reagisce è wireless: Wi-Fi, cellulari, cordless, tralicci per le telecomunicazioni. Tutti questi dispositivi emettono dei segnali con i quali -evolutivamente parlando- il nostro corpo non è mai venuto a contatto. I primi sintomi, quando l’elettrosensibilità inizia a manifestarsi sono solitamente legati alla testa. Perché proprio la testa? Nella serie sui mitocondri abbiamo imparato come la maggiore concentrazione di questi organelli sia proprio nel cervello. Quindi, anche questa è, in parte, una storia di mitocondri ed energia. Poi ci sono disturbi della vista e problemi cardiaci come aritmie. Occhi e cuore sono rispettivamente il primo e terzo organo per concentrazione di mitocondri nell’organismo. Poi si passa all’apparato endocrino, la tiroide, gli organi riproduttivi. A seguire, questi sono gli organi con il maggior numero di mitocondri e bisogno di energia. Sembra delinearsi un quadro ben preciso che lega l’escalation dei sintomi e il fabbisogno energetico/presenza di mitocondri nel nostro corpo. Quello mitocondriale è però solo uno dei meccanismi di azione. I sintomi non sono uguali per tutti, in base alle specifiche sensibilità si possono avvertire dolore o problemi a tutti gli organi menzionati, solo ad alcuni o una sensazione di malessere generalizzato.
Tuttavia, per la medicina ufficiale l’elettrosensibilità non esiste. Nessun medico formulerà una diagnosi in tal senso. Anche perché sappiamo ancora poco di questa patologia ed i pochi che ne parlano sono persino derisi.
Per chi soffre di elettrosensibilità l’unico rimedio è evitare campi elettromagnetici non nativi (nnEMF). Schermando il luogo in cui vivono tramite una gabbia di Faraday, sistema in grado d’isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente al suo esterno.

Una gabbia di Faraday ottenuta con un tessuto schermante
Gli individui elettrosensibili non sono una minoranza. Infatti, come abbiamo visto nella parte precedente, tutti gli esseri umani hanno la capacità di percepire i campi elettromagnetici, tramite speciali molecole delle criptocromi. Inoltre, i mitocondri sono fondamentalmente complessi elettrici all’interno delle cellule, quindi sensibili alle interferenze esterne. In generale, tutta la vita è per sua natura “elettrica” perché si basa sul movimento di cariche elettriche. Non possiamo sfuggire a questi fatti basilari, che rendono imprescindibile il legame tra campi elettromagnetici e organismi viventi, umani compresi. Pensate ad un elettrocardiogramma o un elettroencefalogramma: parliamo in entrambi i casi di elettricità nel corpo. Tramite un meccanismo ben preciso è possibile spiegare gli effetti negativi dei nnEMF sulle cellule e lo scopriremo nelle prossime parti.
Lo studio dell’Essex
L’esperimento che avrebbe dovuto chiarire definitivamente la questione fu proposto da Elaine Fox, nell’università dell’Essex, Regno Unito. In una stanza completamente schermata dall’esterno, è stato posizionato uno strumento che emette onde elettromagnetiche. Tenuto acceso per alcuni minuti e spento per altrettanti, i partecipanti dovevano individuare, in base alle loro sensazioni, quando lo strumento era attivo, quindi dimostrando di avvertirne gli effetti. Ma i risultati furono negativi. I partecipanti non riuscirono ad identificare con rilevanza statistica quando il campo magnetico era attivo e quando invece no. Questo sembra mettere la parola fine alla millantata elettrosensibilità. Ma non è proprio così. Pensate di essere in primavera ed essere allergici al polline. Improvvisamente vi trovate in un campo in cui il polline, per voi pericoloso, svolazza copiosamente. Cosa succede? Istantaneamente cominciate ad avvertire i classici sintomi: naso che cola, occhi irritati, gola arrossata, per poi sentirvi subito meglio, come nulla fosse accaduto, non appena fuori dalla portata del polline, oppure è necessario del tempo affinché il vostro organismo reagisca? Dovrà passare qualche minuto, o qualche ora prima di avvertire i sintomi e diverse ore prima che svaniscano. Ebbene, lo stesso può dirsi dell’elettrosensibilità. I sintomi crescono gradualmente e altrettanto gradualmente recedono. Un esperimento come quello descritto sopra non può gettare luce su questi effetti, perché il nostro corpo non reagisce a nulla come un interruttore: ON o OFF. È anche vero che le persone sembrano sensibili a diversi stimoli: chi reagisce ai cellulari, chi reagisce ai Wi-Fi, chi ai tralicci. Diverse frequenze d’onda potrebbero influenzare persone diverse in base alle loro specifiche caratteristiche. Nessuna di queste variabili fu presa in considerazione nell’esperimento, sebbene l’obiezione fu sollevata da alcuni partecipanti. Per aggiungere un aspetto tecnico che da solo invaliderebbe la ricerca, secondo gli scienziati cha condussero lo studio erano necessarie almeno 132 persone per ottenere risultati statisticamente rilevanti, ma i partecipanti furono solo 44. Lo studio, in definitiva, non è rilevante e non conferma, né smentisce, nulla.
Ma gli effetti dell’esposizione al campo elettromagnetico durante l’esperimento furono rilevanti per alcuni individui. Tant’è che alcuni partecipanti furono costretti a ritirarsi a causa del grande malessere avvertito. Per uno di loro che dichiara di essere sensibile ai nnEMF in particolare a livello intestinale, prendere parte all’esperimento ha significato un cancro al colon, manifestatosi alcuni anni dopo la sua partecipazione. La linea temporale coincide, ma ovviamente questa è solo un’evidenza aneddotale che va presa con cautela.
A caccia degli “errori”
Com’è possibile che l’esperimento sia stato condotto commettendo errori così grossolani? Per trovare la risposta, come spesso accade, occorre seguire i soldi. L’esperimento di Essex è uno dei tanti esperimenti sul tema finanziato dall’MTHR (Mobile Telecommunications and Health Research) una società creata e finanziata dall’industria delle telecomunicazioni stessa. Conflitto di interessi? Certamente sì, come ammesso da David Coggan, Chief Scientist presso l’MTHR. Esistono chiare pressioni psicologiche sui ricercatori, perfino in assenza di effettive pressioni da parte di rappresentanti dei finanziatori. Come nel caso dell’industria farmaceutica, è improbabile trovare risultati che possano screditare le attività delle società finanziatrici. E come spesso accade, la ricerca china il capo davanti al denaro. E chi potrebbe biasimare quei ricercatori? Dopotutto ne va del loro lavoro e dalla loro vita. Tuttavia, questo va a discapito della scienza oggettiva. Esiste poi una forte rilevanza statistica che evidenza come gli studi sul tema dell’elettromagnetismo tendano ad essere negativi -assenza di effetti sulla salute- per quelli finanziati dall’industria e positivi -effetti sulla salute- per quelli con finanziamenti indipendenti.

L’industria dello zucchero insabbiò le ricerche sfavorevoli negli anni ’60
Il caso assomiglia a quello dell’industria dello zucchero. Negli anni ’60 i produttori finanziarono studi sugli effetti del saccarosio su cuore e cancro. Ma quando emersero i primi dati negativi, ritirarono i fondi e non pubblicarono i risultati.
Ma allora l’elettrosensibilità esiste davvero?
Sì, secondo la World Health Organization l’elettrosensibilità esiste davvero. I sintomi possono essere severi e disabilitanti. Si stima che l’iper-elettrosensibilità colpisca solo 2-3% degli individui e le loro vite possono essere terribilmente afflitte. Un altro studio del 2003 conferma l’esistenza dell’elettrosensibilità e dell’elettro-iper-sensibilità in alcuni soggetti. La stessa WHO ha classificato i campi elettromagnetici nel gruppo 2B, che riunisce i possibili carcinogeni. Le storie di individui particolarmente sensibili sono molteplici, ma queste persone vengono spesso dismesse come paranoiche e persino derise.

Chuck da “Better Call Saul” aveva ragione?
Ma come abbiamo detto, a livello fondamentale tutti gli esseri umani sono elettrosensibili. Le nostre cellule sono, per definizione, influenzate dai campi elettromagnetici e mentre ci siamo evoluti in armonia con quelli naturali, come la risonanza Schumann, siamo inermi difronte agli effetti deleteri di quelli non nativi. Le conseguenze sul sistema sanitario potrebbero essere catastrofiche, specialmente quando la corsa verso telecomunicazioni sempre più veloci e pervasive continua ad accelerare.
Con l’introduzione del 5G, degli smart meter e di dispositivi sempre più potenti, il peggio deve ancora venire. Ad oggi, l’unico paese che aiuta chi soffre di questa condizione è la Svezia, dove il 2.5% della popolazione viene trattato. A fine 2017, in California sono state promulgate delle nuove linee guida che incoraggiano la riduzione dell’esposizione alle onde elettromagnetiche dei cellulari, ad esempio evitando di tenere il proprio dispositivo in tasca o vicino alla testa durante la notte. Secondo il direttore del CDPH (California Department of Public Health) e State Public Health Officer Dr. Karen Smith: “Anche se la scienza si sta ancora evolvendo, ci sono preoccupazioni da parte dei professionisti nel settore della salute pubblica e tra la popolazione in merito all’elevato uso e all’esposizione di lungo termine all’energia emessa dai cellulari.” In particolare, la preoccupazione è verso i più piccoli e proprio dei cellulari si occupa la prossima parte della serie.
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Riferimenti
http://www.badscience.net/wp-content/uploads/2007/07/eltitietal_ehp_revised.pdf
http://www.who.int/peh-emf/publications/facts/fs296/en/
https://www.youtube.com/watch?v=h59ONN2hJ_k
https://www.cdph.ca.gov/Programs/OPA/Pages/NR17-086.aspx
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12929157
https://www.theguardian.com/society/2013/mar/29/electrosensitivity-is-technology-killing-us